Coworking in Europa e in America

Il coworking in Europa e in America ha avuto modo di crescere e di svilupparti molto negli ultimi anni. E’ interessante analizzare e comprendere le varie influenze che hanno dato vita ad una diffusione più ampia del fenomeno. Non in tutti i paesi, il coworking, ha avuto modo di stabilire una forte connessione e si nota con evidenza che lo sviluppo è stato nettamente diverso nei vari continenti.

In questo articolo focalizzeremo l’attenzione principalmente sul nuovo e vecchio continente scoprendo quali sono le diversità e quali, invece, i punti in comune.

Il coworking rappresenta uno stile lavorativo che si riflette totalmente nello stile di vita di coloro che aderiscono al suo funzionamento. Si è sviluppato in modo molto rapido nel mondo occidentale. Gli individui che non appartenevano ad aziende ma possedevano impieghi da remoto hanno avuto la necessità di trovare spazi adatti. Non è semplice svolgere i propri doveri a casa e la creazione di coworking ha dato modo a milioni di lavoratori indipendenti di trovare un luogo adatto, tranquillo e sociale.

Nascita e primi sviluppi dei Coworking in Europa

Con le prime tecnologie e centri di start up dedicati solamente al lavoro prettamente informatico, molti hanno iniziato a dedicarsi in modo autonomo alle proprie iniziative. Questo ha messo in circolo la necessità di trovare spazi giusti in cui poter lavorare in tranquillità. Se all’inizio includeva una fascia di popolazione minima, con il tempo le corporate globali, hanno approfittato di questa immancabile opportunità. Così facendo hanno ottenuto grandi guadagni e cambiando le sorti di questo fenomeno appena iniziato.

Oggigiorno il coworking è molto diffuso e coinvolge tutti gli aspetti sociali e locali dei luoghi in cui operano. La caratteristica principale degli spazi di lavoro europeo è la loro dimensione ridotta. Questo favorisce immancabilmente la comunicazione e lo scambio sociale, aspetto fondamentale per coloro che si sono approcciati a questo particolare mondo di lavoro. Gli spazi si concentrano tutti in città e offrono ai propri iscritti una vita lavorativa e sociale molto incentrata sulla dinamicità.

In Europa il suo sviluppo è stato registrato nel 2018, quando importanti transazioni economiche, hanno accompagnato vari investitori nel mondo del lavoro da remoto. Londra si presenta come la città europea con più spazi di coworking. I nuovi immobili aumentano anno dopo anno superando la concorrenza di Parigi, Varsavia, Milano, Madrid e Amsterdam. Nonostante questo, il fenomeno, risulta comunque ancora poco sviluppato considerata la grandezza della città. La disponibilità di strutture è molto bassa e gli affitti sono esageratamente costosi, questo non ha aiutato nella creazione di nuovi spazi. Berlino si trova in una posizione strategica, al centro dell’Europa è tutt’oggi sede di moltissime startup. Progetti innovativi e gruppi di giovani lavoratori vogliosi di mettersi alla prova, l’eccesso di stabili industriali e uffici ne ha favorito la riconversione in spazi adatti ai freelancers.

Il sud dell’Europa, al contrario del resto del territorio non ha subito lo stesso incremento, leggermente più lento nel suo sviluppo economico, ha un tasso di disoccupazione piuttosto alto. Il coworking in questo caso ha comunque portato una boccata d’aria fresca dal momento che è divenuto un trampolino di lancio verso una ripresa generale. La disoccupazione giovanile, prima diffusissima, piano piano in concomitanza con l’aumento di spazi di lavoro comuni, sta diminuendo. Il fenomeno ha garantito e offerto un sostegno grandioso e delle condizioni accettabili per tutti coloro che avrebbero voluto da tempo sviluppare la propria professionalità in maniera più autonoma.

Nascita e primi sviluppi dei Coworking in America

In America il coworking ha avuto modo di diffondersi ampliamente. Tutto in questo continente è esageratamente grande, gli spazi sono ampli e così anche quelli di lavoro. Questo particolare ha aiutato molto la diffusione di questo genere di approccio. In confronto agli ambienti europei, ha però sfavorito la comunicazione e la condivisione sociale. Le grandi città sono state luogo centrale e di coinvolgimento europeo con la presenza del 70% del totale di coworkers europei, in USA invece accade totalmente il contrario.

Solo il 50% si trova nelle metropoli, di cui esclusivamente il 30% in città con oltre un milione di abitanti. Le grandi città ovviamente ospitano un gran numero di persone che aderiscono e si iscrivono ad ambienti lavorativi indipendenti. I coworkers americani dunque si trovano in una posizione favorevole al loro sviluppo lavorativo, riescono a incontrare spazi adatti alle proprie esigenze anche non trovandosi in metropoli o città densamente abitate.

Nonostante questo particolare, anche in America i numeri incrementano notevolmente anno dopo anno. Le strutturo non sembrano mai essere abbastanza e questo è stato effettivamente dimostrato da un’analisi effettuata riguardo la densità di coworker per metratura. Nonostante l’ampiezza delle strutture, in America le postazione lavorative sono molto ridotte. In tal modo è possibile permettere maggior partecipazione dimostrando ancora una volta la necessità adoperarsi nel creare nuovi ambienti.

Questi spazi hanno ricevuto moltissimo successo ma per continuare ad alimentare la partecipazione si stanno modernizzando. Già dopo pochi anni la differenza è notevole, risultano molto più innovativi e automatizzati. Questo permette a i nuovi iscritti di registrarsi in modo autonomo, abbassa considerevolmente i costi per i proprietari che, grazie alle tecnologie, iniziano già a lavorare e gestire gli immobili da remoto. Se al principio sembrava tutto concentrato sul fornire degli spazi di lavoro per coloro che non avevano un ufficio, lo sviluppo odierno negli USA sembra incentrarsi principalmente nell’offerta di servizi. Gli abbonamenti seguono gli andamenti economici, le opportunità, gli eventi e anche i servizi base sono tutti alla portata dei clienti.

Sarà interessante vedere come gli eventi degli ultimi anni impatteranno nella diffusione del fenomeno del coworking, se all’inizio del 2020 molti spazi di lavoro flessibile abbiano riscontrato livelli relativamente elevati di partecipazione, alla metà del 2021 ci ritroviamo a fare i conti con una situazione economica rallentata gravi problemi di mobilità sociale. Tutto dipenderà dai prossimi mesi sicuramente i lavoratori stanno cercando nuove modalità di affacciarsi ai propri impieghi, alienandosi di meno e garantendosi una flessibilità che gli era stata privata da anni.

La differenza tra coworking e uffici privati

Qual è la differenza tra un coworking e uffici privati? Per dare una risposta a questa domanda, analizziamo il tema dal punto di vista del benessere psicofisico di un lavoratore. Per sentirsi bene in un ufficio, come in un qualsiasi altro ambiente di lavoro, è necessario trovarsi effettivamente in una condizione psicofisica ottimale.  Questo tipo di benessere è possibile solo se la persona in questione riesce a trasformare le cosiddette emozioni distruttive in energia positiva.

Spesso accade che all’interno di un ufficio privato vengano a mancare relazioni dinamiche, punti di vista diversi che possano provenire da settori diversi, e il risultato è quello di sentirsi rilegati in una realtà univoca senza alcuno stimolo dall’esterno. Inoltre, la prassi vuole che nella maggior parte dei normali uffici ci si ritrovi a lavorare soli alla propria scrivania senza un contatto (specie per alcune mansioni) con altri professionisti.

Questo può, di fatto, generare stress e rompere il nostro armonioso stato psicofisico che di conseguenza potrebbe portare il lavoratore a performare peggio e ad avere molta meno energia da dedicare ai propri compiti. Uno degli obiettivi principali delle aziende è quello di aumentare la produttività, concentrandosi sui fattori più importanti che la influenzano ma dimenticandosi che tra essi vi è proprio il benessere delle proprio persone. 

E un coworking invece?

Proprio in questo senso, l’obiettivo di un coworking è molto simile a quello dell’azienda, ma esso sceglie di mettere al primo posto gli abitanti dei suoi spazi. È quindi importante per raggiungere un buono stato psicofisico, trovarsi all’interno di un ambiente curato nei minimi dettagli: dalla qualità dell’aria a quella della luce, dal controllo della temperatura alle limitazioni del rumore di sottofondo. Per dare il massimo, un lavoratore deve riuscire a sentirsi bene a 360 gradi. E cosa c’è di meglio, per raggiungere tale obiettivo, se non uno spazio fatto su misura per te e per le tue esigenze?

In Coworking Lab per esempio puoi scegliere dove, come e quando lavorare, vista la naturale flessibilità dello spazio e dei suoi orari con accessi autonomi. Sono tanti i punti da non trascurare se si vogliono avere persone produttive e felici all’interno dei propri ambienti, come per esempio: 

  • il comfort acustico 
  • l’ergonomia spaziale 
  • la creazione di un microclima adatto
  • il giusto bilanciamento tra luce naturale e luce artificiale 
  • e la varietà sensoriale data dalla diversificazione spaziale.

Insomma gli ambienti di lavoro devono essere studiati appositamente per chi li vive quotidianamente e in un’ottica di benessere generale.

La community

Ma il vero focus viene posto sul tema delle relazioni tra persone. La linfa vitale, propria di ogni coworking, è la community. Grazie ad essa le ore di lavoro diventano più produttive, stimolanti e di conseguenza più proficue. La contaminazione di idee, la rete di contatto che si evolve anche durante un semplice caffè in compagnia, la possibilità di networking in qualsiasi momento della giornata, la nascita di nuove collaborazioni tra professionisti diversi, ci danno la possibilità di non sentirci mai soli e isolati. Nel coworking esistono solo relazioni di reciprocità, si tratti di tempo, competenze o di un’informazione al volo.

Tutto questo definisce i coworking come simbolo di una nuova rivoluzione, che spinge le aziende in modo diretto a interessarsi a queste realtà e a volerle sperimentare.

Donne e smart working

Oggi vogliamo parlare di donne e smart working…lo smart working è stata una conseguenza necessaria agli eventi del 2020. Una pandemia si è diffusa all’interno della nostra società e l’unico modo a disposizione per non aggravare la situazione è stato quello di evitare i contatti ravvicinati. Lavorare, nella maggioranza dei casi, prevedeva simili ravvicinamenti dovuti a mancanza di spazi ampi oppure da vere e proprie dinamiche lavorative. L’impiego a distanza è stata la soluzione migliore per permettere, in parte, alle imprese di non chiudere totalmente. Tutti gli individui di questa società hanno dovuto ripiegare a questi meccanismi online ma alcuni non sono riusciti a trarne giovamento. Basti pensare ai più anziani che sono stati costretti ad approcciarsi obbligatoriamente a dei software che potessero permettergli di lavorare. Alla maggioranza delle donne, le quali, nonostante fossimo nel XXI secolo, si sono ritrovate con tutte le responsabilità sulle spalle da affrontare simultaneamente.

Ci teniamo a specificare che questo aspetto non è universale, ci sono stati e ci sono tutt’ora molti uomini che si prendono carico della famiglia e della casa, ma in linea generale, gli studi e le analisi riportano chiaramente un grave divario di genere.

Donne e smart working: il divario di genere

Innanzi tutto dovremmo porre attenzione sulle quantità di donne che durante le ondate pandemiche hanno perso il proprio posto di impiego. Nel caso in cui questo non sia accaduto e l’individuo femminile abbia mantenuto il proprio lavoro come il partner, di sesso maschile, si nota esplicitamente come tutte le faccende domestiche siano ricadute comunque sulla donna, nonostante la presenza di entrambi all’interno del domicilio.

Pensiamo invece alle coppie aventi figli. Ricordiamo i momenti più duri della pandemia, quando ancora le scuole non si erano organizzate e i bambini e ragazzi. I genitori dovevano, in qualche modo, continuare il loro percorso privi di guide. I genitori, hanno fatto il possibile per dare il proprio contributo, aiutando con i compiti, spiegando le nozioni poco chiare e improvvisandosi maestri di asilo per i più piccoli. Un lavoro difficile e stancante soprattutto se in simultaneità con un impegno nuovo, quale lo smart working. Anche in questo caso, se presa in considerazione una coppia eterosessuale, le donne, nella maggior parte dei casi, hanno provveduto alla ricerca dell’incastro perfetto, tra i figli, la casa e il lavoro senza ricevere alcun aiuto.

Non è dunque sorprendente se solo il 27,9% delle donne vorrebbe continuare con queste modalità risetto al 32,5% degli uomini.

La pandemia nel 2021 si sta continuando a propagare, sembra essere un fenomeno inarrestabile. Da un punto di vista economico pensiamo alla rovina e dal lato sociale non sembra esserci futuro che non preveda il più totale collasso. La situazione di divario di genere peggiorerà e gli effetti futuri saranno devastanti nella casistica in cui non venissero presi dei provvedimenti in questo momento. I ruoli sociali non hanno subito lo stesso sviluppo delle tecnologie e della medicina, il gap non è solo un divario, considerato che ci troviamo nel XXI secolo, assomiglia più ad una voragine. Le attività in casa si sono intensificate come il bisogno di mantenere l’ambiente pulito e vivibile, perché quest’ultimo impegno non viene condiviso nella coppia?

Le pari opportunità

E ancora una volta si arriva a parlare di pari opportunità e delle occasioni mancate a cui abbiamo assistito. Lo smart working se introdotto e gestito bene avrebbe concesso a moltissime donne di avanzare nella propria carriera, trovare nuove occasioni lavorative. Lo smart working permette di avere tempo per i figli in contemporanea ad un impiego a tempo pieno (dimostrando che l’essere genitore può conciliare con ogni aspetto della vita). Così non è stato e anzi. II 44% delle donne italiane che lavora nel settore tech ha dichiarato di avere fatto molta fatica a dividersi tra lavoro e vita familiare.

Per il 60% sono stati i lavori domestici a drenare le energie (contro il 36% degli uomini) mentre per il 66% la didattica a distanza (contro il 37% degli uomini). I dati dimostrano chiaramente che i nuovi impieghi a distanza hanno rallentato notevolmente la conquista di parità sociale e lavorativa, arrestando molte carriere.

Ovviamente i punti di vista sono molti, alcune hanno apprezzato e accolto la novità dello smart working. Alcune donne sono riuscite a condividere più tempo con il partner, con i figli e dedicarsi con piacere alla casa. Altre hanno trovato metodi alternativi per riscoprire il proprio benessere individuale quale la partecipazione attiva ad un coworking.

Coworking Lab è una realtà che ha sempre cercato di promuovere un sano equilibrio sia per quanto riguarda le diversità di genere sia in quanto al riuscire a conciliare una vita individuale con il lavoro. Lavorare da casa implica distrazioni.

 Uno stile di vita corretto comprende anche un vissuto lavorativo onesto, integro e di sostegno. Riuscire a crearsi una realtà simile è complicato, proprio per questo un coworking potrebbe essere la scelta giusta per te.

Coworking Lab, in particolare, ha provveduto a creare un’affiliazione con una società tutta al femminile chiamata “Radio Mamma”. Sono una vera e propria impresa nata per rendere Milano Città Metropolitana sempre più family friendly. Si impegnano per diffondere attività culturali, di informazione promuovendo servizi innovativi per le famiglie. Lavorano con i genitori, i bambini, i ragazzi, gli adolescenti, gli esercenti, i professionisti, le aziende e gli enti pubblici.

Il loro obiettivo rimane quello di migliorare la città e la società in cui viviamo. Non è semplice ma con la collaborazione di tutti potremmo, un giorno, sperare in una vita più equa, con i giusti diritti e priva di ingiustizie. Il coworking è un’ottima opportunità per riuscire ad avere un ufficio ma a mantenere la giusta indipendenza dall’alienazione lavorative, essere in grado di scegliere quanto tempo dedicare alla famiglia, agli impegni e alla vita extra lavorativa.

Simone Mandelli – Freelance Engineer

Simone Mandelli

Raccontaci di te! Qual è la tua passione più grande? Cosa ti ha portato a Milano (se non sei di qui)? Cosa ti piace di più di Milano? C’è un tuo posto del che consigli qui in zona Lambrate?

Sono Simone Mandelli un brianzolo dunque sono nato e cresciuto nella Brianza, prima di intraprendere gli studi universitari non ho mai avuto modo di vedere e vivere la città di Milano. Ho scoperto la metropoli una volta maggiorenne dal momento che ho deciso di venire fin qua a Milano per conseguire gli studi al politecnico di Milano, qui vicino in San Leonardo. Ho dunque iniziato a frequentare la zona di città studi  e da questo periodo della mia vita in poi posso dire con certezza che questo quartiere è entrato a far parte del mio quotidiano.

Di base ho iniziato ad associare ogni aspetto della mia esistenza a questi luoghi, ho incontrato nuove amicizie, ho scoperto dei locali carini, ho avuto modo di vivere a pieno via Teodosio che, per quanto mi riguarda, è la via del gusto. Ha un’offerta gastronomica imperdibile che vale la pena di provare se siete di queste parti. Cinque anni fa mi sono sposato e mi sono trasferito definitivamente in zona Lambrate dal momento che mia moglie è originaria di Milano e ci teneva a rimanere nel centro della città.

Simone Mandelli raccontaci del tuo lavoro! In cosa consiste? Perché hai scelto questa professione? Come si svolge una tua giornata lavorativa-tipo?

Di lavoro faccio il consulente tecnico, ho iniziato la mia attività lavorativa in università quando ho avuto l’opportunità di eseguire un dottorato di ricerca. Dopo di che mi sono messo in proprio, ho iniziato ad offrire consulenze alle aziende e mi occupavo di supporto alla progettazione fino alla verifica dei loro prodotti mediante profonde analisi numeriche. Da lì in poi ho continuato con questa attività, espandendomi e crescendo ampliando la mia rete di clienti e anche la tipologia di servizi offerti. La mia giornata di lavoro tipo concretamente è una giornata di fronte ad un computer, tendenzialmente eseguo riunioni con i clienti e, occupandomi di progettazione e verifica mediante analisi numeriche, sono forzato a spendere molte ore davanti allo schermo.

Raccontaci della tua esperienza in Coworking Lab! Cosa ti ha portato a scegliere questo coworking? Da quanto lavori qui? Quali sono le cose che apprezzi di più?

Io i primi anni di professione li ho vissuti, come molti, a casa mia nel mio piccolo spazio dedicato al mio lavoro. Dopo un anno e mezzo circa mi sono accorto che era arrivato il momento di trovare un posto totalmente distaccato da casa mia in cui potessi dedicarmi al mio impiego in particolar modo per separare i due impegni maggiori: la casa con la famiglia e il lavoro. La soluzione migliore sembrava essere la ricerca di un coworking e dunque ho intrapreso questo percorso.

A Lambrate fortunatamente ce ne sono molti, ne avevo molti vicino a casa ma il Coworking Lab mi ha attirato esteticamente, a primo impatto mi è sembrato un ottimo luogo in cui lavorare, colorato, ricco di luce e spazioso, ho preferito dedicare cinque minuti in più al giorno per gli spostamenti piuttosto che lavorare in un luogo che non mi attirasse. Ritengo sia necessario spendere tutto questo tempo in un posto che ti faccia stare bene ed infatti io ho scelto questo.

Raccontaci delle opportunità di business che si sono create, o che ti piacerebbe creare, nella community! Hai già sviluppato dei progetti di business con altri coworkers? Come sono nati? Come si sono evoluti? Vedi altre possibilità di sviluppo con altri coworkers?

Rispetto al lavoro che faccio, in termini lavorativi la mia presenza al coworking purtroppo ha poco a che fare con gli impieghi altrui. È un’attività molto specifica e soprattutto dettata da degli studi anch’essi molto centralizzati, è difficile trovare punti d’incontro con altri lavori. Dal punto di vista delle relazioni sociali, invece, c’è stato un ritorno molto interessante dal momento che il confronto in una comunità simile è costante e questo porta molti benefici. In particolar modo quando riscontro un problema, riuscire a parlarne risulta la soluzione migliore mi vengono forniti consigli e ipotetiche risoluzioni adeguate siccome spesso accade che questi ostacoli abbiano inceppato l’attività e i progetti di altri coworkers in passato.

C’è dunque un continuo scambio, di esperienze e di punti di vista sia sui problemi che sulle relazioni professionali sia con i clienti che con gli altri colleghi. Ovviamente ognuno di noi ha un lavoro e un impiego diverso però ci accumuna il fatto di essere grandi lavoratori in proprio impegnati e vogliosi di aiutare chi ci sta vicino.

Simone Mandelli perché scegliere te? Cosa rende il tuo lavoro differente rispetto ai competitors?

Come professionista mi sento di dire che possiedo delle forti basi tecnico-pratiche acquisite durante il mio percorso universitario e questo mi permette di affrontare problemi nuovi e punti di vista diversi ogni volta che mi metto a lavorare su un progetto. Questo può essere considerato un valore aggiunto in quanto più esperienza si possiede più i problemi sono ridimensionati dalla sicurezza che si ha nello svolgere il proprio lavoro. Il percorso è sempre in crescita ed è positivo valutare quotidianamente nuove sfaccettature.

Contaminazioni. Quali sono le tue passioni? In che modo questi interessi sono rilegati ai tuoi hobbies o divengono carburante per le tue idee?

Non vorrei ripetermi ma sicuramente uno dei valori aggiunti che sono riuscito a comprendere e a far mio durante il mio percorso è sicuramente quello di riuscire a condividere i miei progetti con altre persone, spesso non in senso strettamente collaborativo ma semplicemente di aiuto reciproco. Sono riuscito ad avere l’opportunità di poter osservare, confrontarmi e comunicare con altri professionisti, con persone che in qualche modo riescono a interfacciarsi con questa realtà nello stesso modo in cui io stesso mi muovo, così mi permettono di allargare quello sguardo partendo dal particolare arrivando al generale risultando uno stimolo per generare altre tipologie di attività e iniziare a pensare e valutare nuovi e diversi orizzonti.

Non tutto è business networking

Il segreto del “fare business networking” sta nell’invertire ciò che faremmo d’istinto: ascoltare e non parlare

Business networking? Avevo la radicale convinzione che networker si nascesse. La natura ti dotava di un set di particolari abilità per cui se le avevi attaccavi bottone, gestivi la conversazione, ottenevi favori, intortavi, ammaliavi, espandevi la tua influenza, eri destinato a dominare il mondo. Se non l’avevi, saresti divenuto ogni giorno meno competitivo fino ad estinguerti.

Non ho mai pensato che fare business networking fosse una cosa che si potesse imparare, skill da poter costruire e non un’attitudine innata. Me lo fece notate un collega, a dire il vero abbastanza introverso, che però era il commerciale che chiudeva più trattative di tutti in azienda. Quando gli altri chiacchieravano con i clienti, lui portava a casa ordini. Quando gli altri giustificavano i ritardi dei pagamenti, lui sventolava le lettere di credito.

Parlandone con lui, ormai molti anni fa, mi disse che gli eventi di networking lui li evitava per scelta tutti e che non avrebbe perso un minuto in nessuno di questi.

All’epoca andavano di gran moda i ClubIN. Ve li ricordate? Iniziarono con il botto per finire nel giro di qualche anno pieni di gente triste a caccia di clienti e di lavoro.

Il networking però è una moda che non tramonta mai. Finiscono dei cicli, ma non ci si ferma mai di generare incontri per produrre del business. Ad esempio, ora va di moda BNI (Business Network International): quelle riunioni mattutine alle 7 in cui vieni travolto da un turbinio di biglietti da visita.
C’è sempre qualche trend che prende il sopravvento su quello precedente. Questo è il nuovo? Non so, forse sì.

È evidente che, per quanto il networking possa cambiare forma, esso riesca sempre a restare di moda. Piace perché del resto a chi non piacerebbe sognare un modo di incontrare clienti senza far fatica? È il potere del networking, baby: ti fai una serata di networking e sei pieno di ordini.

Da una parte questa è un po’ un’illusione, dall’altra è verità: gli affari si fanno fra esseri umani (almeno per ora) e le relazioni contano un sacco, perciò è giusto coltivarle.

Quello però che mi insegnò la chiacchierata con quel venditore introverso fu che il networking non è assolutamente una dote ma una disciplina e perciò può essere imparata. Anzi, è una disciplina che ha bisogno di un certo dominio di se’, come capita a molte delle cose interessanti della vita.
Per di più, spesso chi è timido è paradossalmente più avvantaggiato rispetto a chi sa fare un sacco di chiacchiere (e magari sa fare solo quelle), sempre che per “timido” non ci si riferisca a quella timidezza che ci pietrifica, ma questa è tutta un’altra storia.

Perciò, quello che troverete in questo post è ciò che vorrei diventasse in me abitudine quotidiana, perché ogni skill va prima compresa, fatta propria e poi allenata.

Business Networking is the new black

Gli eventi di puro networking si fanno amare subito, ma di un amore che si consuma assai velocemente.

Infatti capita spessissimo che l’interesse che sono capaci di suscitare i primi giorni si affievolisca in un baleno. La “bella gente” che un tempo li animava non torna più, lasciando il posto a musi lunghi e volti spenti fra cui si ritrovano un sacco di sprovveduti e disperati in cerca di opportunità per svoltare.

Certo, non tutti i luoghi di networking finiscono così; quelli gestiti correttamente prosperano, ma restano una piccola parte.

Si fa networking solo agli eventi di networking?

Ad essere sinceri non è vero che il networking sia un’attività riservata agli eventi creati ad hoc. Ogni giorno abbiamo decine di occasioni per fare networking:

  • prendendo un thé
  • partecipando ad una conferenza
  • invitando qualcuno a praticare sport
  • invitando qualcuno a praticare un hobby
  • accompagnando qualcuno alla macchinetta del caffè (la famosa pausa-caffè)
  • partecipando ad un evento speciale come un concerto, una cena di gala, la presentazione di un libro
  • invitando persone a cena a casa propria
  • invitando a partecipare ad un pomeriggio di volontariato

L’esperienza mi ha spesso insegnato che si può fare networking un po’ ovunque e solo raramente agli eventi di networking.

Perché? Probabilmente perché i migliori contesti in cui relazionarsi con gli altri sono gli ambiti in cui viviamo le nostre passioni e i nostri interessi principali. Questi contesti permettono la nascita di amicizie interessanti basate sulla condivisione di interessi e non sulla condivisione dei bisogni.

Ripassiamo le basi: cosa significa relazionarsi?

Relazionarsi lo fa anche chi pensa di non relazionarsi. È un può come quando si dice che anche quando non si comunica nulla in realtà si sta comunicando qualche cosa. Tutti credono che sia un’azione spontanea ma spesso di spontaneo c’è meno di quello che si pensa.

Da qui nasce la sgradevole sensazione che accompagna il networking quando lo sentiamo nominare. Ci appare subito nella mente l’immagine di qualcuno che ci vuole piazzare un prodotto o un servizio, qualcuno che vuole sfruttarci per i suoi interessi, legali e legittimi, ma capaci di farci drizzare i peli delle braccia.

Perché si pensa al networking così? Come mai ci sorge questa sensazione? Perché in fondo al cuore sappiamo che c’è un po’ di verità in tutto questo: si fa networking perché prima o poi ciascuno vuole qualche cosa dalla persona che gli sta di fronte.

Quando la visione utilitaristica prende il governo dell’attività di networking finisce per spingerci a fare due errori fondamentali:

1) Non Ascoltare

Mettersi in una posizione d’ascolto è fondamentale. Spesso agli eventi di networking ci concentriamo sul farci notare, sul farci conoscere da quante più persone possibile, sul collezionare biglietti da visita pesanti. La realtà è che il networking si fa parlando poco e ascoltando tanto. Quali sfide sta affrontando il nostro interlocutore? Quali difficoltà ha incontrato sul suo cammino? Per questo sono importantissime le domande aperte come “cosa ti è piaciuto di più dell’evento/giornata di oggi?”, basta lasciar fluire le parole e cercare di capire cosa possiamo fare noi per aiutare questa persona grazie ad un ascolto proattivo.

2) Non aver pazienza di guadagnare l’effetto leva (giver gain)

Gary Vaynerchuck chiama questo effetto “leverage”, la leva. Ma su cosa fare leva e come? Nel gioco del networking vince chi porta per primo valore all’altro per poi usare questo valore come leva per raggiungere quello che gli interessa. È un po’ come nelle arti marziali in cui sfrutti il colpo dell’avversario per catapultarlo dove tu vuoi.

Il bravo networker è chi ha la pazienza di aspettare di far crescere sufficientemente la leva per poterla usare. Offri valore per primo fino a quando, ad un certo punto, l’altro non può dirti di no e rifiutarsi di ricambiare.
Magari anche solo perché non se la sente di dire di no, anche solo perché un rifiuto gli procurerebbe una sensazione di imbarazzo.

Attenzione, non sto dicendo che sia necessario manipolare le persone per arrivare ad ottenere qualche cosa, ma di usare il valore che hai offerto gratuitamente come leva per chiedere, liberamente, una qualche cosa che ti interessa.

E poi si cade sul follow-up

Se all’inizio non si ascolta e non si offre alcun valore, alla fine ci si perde nel fare il follow-up.

Perché non penserete mica di essere così interessanti e unici da non averne bisogno?

Avere fretta e volere tutto in maniera ansiosa vi spinge ad arrivare troppo presto. Pensando a cosa la persona può fare di comodo a voi, essa diventa uno strumento per raggiungere i vostri scopi (fosse anche solo il vostro budget annuale per via del premio) e non vi accorgete che chi compera, acquista per raggiungere i propri scopi. Non per aiutare voi a raggiungere i vostri.

Essere spinti dall’ansia di sapere se la persona comprerà o no e, se non comprerà, avere la sensazione di aver perso tempo vi spingeranno a dare la caccia ai biglietti da visita e non badare assolutamente a cosa cerca la persona che sta davanti a voi.

Ma il follow up è la vera chiave del successo del networking

Non è che serva poi molto, basta anche solo una mail con il giusto tempismo per far una bella impressione e avere la possibilità di continuare la discussione intrapresa. Attenzione, non intendo l’operazione subdola di scrivere email a tutti  i biglietti da visita raccolti in un funnel di email marketing automation. Questo non lo dovete proprio fare.

Quando mi riferisco al follow up, intendo un messaggio (email ma anche social, magari LinkedIn se è per business, magari un SMS o una telefonata), fra le prime 12-24 ore dall’avvenuto incontro e un secondo a circa 30 giorni dal primo. Vuol dire che nel viaggio di ritorno non dormirete in treno o in aereo e li preparerete. Vuol dire che quando rientrate in hotel li predisporrete per essere inviati al momento opportunto.

Un esempio di testo da cui poter prendere spunto? Eccolo:

È stato bello poter parlare con te ieri. Mi piacerebbe poter continuare il discorso iniziato con questa chiacchierata. La prossima volta che sono dalle tue parti mi piacerebbe tu trovassi un piccolo spazio nell’agenda per continuare la discussione . Penso di poterti essere di aiuto a…

Come potete vedere da questo testo, il focus non è su cosa può fare la persona per voi, ma cosa puoi voi potete fare per lei.

Mentre il secondo follow up, quello a 30 giorni è importantissimo, perché non è pensabile che ogni volta il mondo giri intorno a voi. Perciò, un buon modo di farsi risentire dopo un mesetto potrebbe essere quello di fare un po’ di “content curation”: cioè selezionare per la persona che vi interessa un paio di post interessanti e inoltrarglieli, oppure segnalare un evento significativo a cui parteciperai anche tu chiedendo se rientra anche nell’agenda del contatto che volete riattivare.

Solitamente mi preoccupo che i miei follow-up contengano:

  • ringraziamenti (non solo per educazione, ma chi dona tempo si priva di un grande bene)
  • elementi interessanti emersi durante il dialogo (magari una battuta spiritosa se ce lo possiamo permettere)
  • un’offerta di disponibilità ad aiutare fattivamente (specialmente se nell’ultima chiacchierata ci si è già resi disponibili)
  • il nome della persona (mai Carissimo Dottore ma Caro/Cara seguiti dal nome)
  • annuncio di aver fatto richiesta di connessione sui social
  • la persona che mi ha introdotto in CC (la riconoscenza è un must per il networker)

Il follow up deve essere un’abitudine automatica naturale, non un meccanismo impersonale costruito a colpi di copia e incolla. Per questa attività attiva gli automatismi dell’email marketing automation e fai percepire tutta la naturalezza possibile mentre stai cercando di far crescere la tua influenza.

Il segreto del networking

Semplice: il segreto del “fare networking” consiste nell’invertire ciò che faremmo istintivamente: il parlare deve diventare ascoltare, il chiedere deve diventare dare.

5 ragioni per lavorare in un coworking

Networking, crescita e self-branding: ecco le magie che accadono in uno spazio di lavoro flessibile

Tratto da ninjamarketing.it (05.11.2019)

In qualsiasi città oggi è possibile trovare e lavorare in un coworking, luoghi dedicati al lavoro che potrebbero sembrare a prima vista un fenomeno passeggero o una questione di moda.

In realtà, per molte aziende, startup e professionisti, si tratta di una scelta ben ponderata, sulla base di una serie di vantaggi che lavorare in un coworking offre.

Dai piccoli spazi sopra le caffetterie alle più grandi catene internazionali, ogni coworking ha le sue caratteristiche specifiche e si apre alle aspettative più varie di ogni azienda, grazie alla carta vincente della flessibilità.

Se sei mai entrato in un coworking, avrai anche notato un altro aspetto comune: il design degli interni e la planimetria sono sempre eccezionali, pensati per essere al servizio delle esigenze lavorative, dalle lunghe riunioni strategiche, agli incontri informali davanti a un caffè.

Secondo Harvard Business Review, infatti, anche gli spazi di lavoro possono avere effetti diretti sulla produttività.

Alcuni professionisti, ad esempio, sostengono che lavorare in un coworking gli aiuti a cambiare scenario e a sbloccare la creatività, costringendoli a smettere di nascondersi dietro lo schermo e permettendogli di relazionarsi dal vivo con altre persone, creando nuove relazioni. Molti coworking, come Copernico, ospitano anche eventi per i propri membri, con l’idea di creare continua crescita per le rispettive aziende.

Ecco quindi 5 buoni motivi per scegliere un coworking come spazio per il tuo lavoro.

1. Tutto ciò di cui hai bisogno in un unico costo

Forse siamo partiti dal fattore più lampante, ma per il successo di un’azienda anche il bilancio è un aspetto che non si può sottovalutare.

Soprattutto se hai appena avviato una startup, magari non avrai bisogno di un intero piano di uffici e anche tutte le altre spese generali ne beneficeranno. Pensa di poter avere a disposizione un ufficio personale, una sala riunioni, una caffetteria, una sala conferenze, senza dover pensare anche ai costi di luce, Internet o alla fotocopiatrice.

piani flessibili offerti da un coworking sono la scelta ideale anche per quelle aziende che scelgono lo smart working, per offrire ai lavoratori spazi diversi in cui svolgere la propria attività, in tutta tranquillità.

2. Un’incredibile energia

L’atmosfera che si respira in un coworking è eccezionale. Tutti sono impegnati al massimo nel proprio lavoro ed esiste uno scambio continuo di contatti, idee e conversazioni, che ti faranno sentire parte di una community.

Non c’è da meravigliarsi se in un coworking si vedono tanti sorrisi: qui le persone amano il loro lavoro e possono sentirsi parte di qualcosa di più grande, andando oltre i limiti delle mure della propria azienda, allargando le prospettive e aiutando a pensare fuori dagli schemi.

3. Le opportunità del networking

In un coworking tutte le persone sono lì per lavorare: questo aspetto che potrebbe sembrare così banale, in realtà permette di escludere la pressione che si crea, ad esempio, durante un incontro commerciale per chiudere una vendita. Il networking che avviene qui è diverso da quello durante gli eventi di settore, ad esempio.

Ci si incontra e si collabora in modo più rilassato e produttivo, perché l’obiettivo di tutta la community è creare nuove opportunità di crescita per i rispettivi business.

Dagli imprenditori ai liberi professionisti, il mix di persone è uno dei punti di forza degli spazi di coworking. È utile per stabilire contatti in altri settori e significa che ogni giorno è pieno di opportunità di networking naturali.

4. Esiste una cultura aziendale già pronta

I dirigenti sono diventati sempre più consapevoli della necessità di una cultura aziendale sul posto di lavoro e lavorare all’interno di una comunità più ampia significa che avere maggiori probabilità di incontrare questa cultura aziendale anche in altri lavoratori, e condividere non solo idee ma anche prassi e obiettivi.

Lavorare al fianco di liberi professionisti che scelgono il proprio lavoro per poter riconoscere, ad esempio, il valore dell’equilibrio tra lavoro e vita privata, significa aiutare la crescita dei dipendenti dell’azienda.

5. Un sano work-life balance

Un coworking, con i suoi orari, i suoi spazi flessibili, la capacità di assecondare ogni progetto, dal più semplice al più ambizioso, consente anche di lasciare da parte molte preoccupazioni e avere più tempo da dedicare alla propria vita privata.

Un punto da non sottovalutare se si considera che oggi, per la maggior parte dei millennial, il work-life balance è uno degli aspetti da prendere in considerazione nella scelta del proprio lavoro.

Per non parlare delle palestre e degli spazi dedicati alle attività ricreative per staccare dal lavoro: cosa c’è di meglio che concludere la giornata con una lezione di yoga per tornare a casa già perfettamente rilassati?

Uno spazio di coworking permette anche questo: ritrovare ritmi più adeguati alle proprie esigenze, conciliando in un unico luogo lavoro e attività per il proprio benessere personale.